Fringe Fest: Da grande voglio fare l’aggettivo
«Difficile per me dire che cos’è Da grande voglio fare l’aggettivo. Forse perché è tante cose insieme e ridurle ad una mi riesce complicato. Prima di tutto, e in origine, è un omaggio all’arte di Federico Fellini e all’invenzione di quel mondo altro che è scaturito dalla sua inesauribile creatività. In secondo luogo è il mio personale omaggio all’arte degli attori, alla loro comunicativa contagiosa, al coraggio di fare un lavoro non convenzionale e continuamente esposto allo scacco, e a quel po’ di narcisismo che sorregge tutto questo. Ma è anche un canto alla memoria, e alla constatazione che ognuno di noi, nostalgico o meno, è quello che è in rapporto a quello che è stato, a quanto ha contato la propria famiglia, e persino, su “per li rami”, l’intera stirpe. Ed è infine il tentativo di legare tutto questo in una drammaturgia che se per molti versi non è niente più che un racconto, dall’altro prova a tirare le fila in una narrazione personale e corale insieme, dove al centro c’è lui, l’attore in scena, Andrea Santonastaso, con la sua storia e la storia della sua famiglia, letta appunto dagli occhi del drammaturgo: non un’autofiction oggi tanto praticata, dunque, ma piuttosto un’alter-fiction, se è vero che chi ha scritto il testo ha immaginato di costruire la storia del personaggio-Andrea attraverso il materiale che lui gli ha fornito (e la scena prova a suggerire uno spazio ibrido tra un magazzino della memoria e un set fotografico). Ma in fondo, e soprattutto, c’è il desiderio di fare del teatro quello che è sempre stato: uno spazio di suggestione, di riconoscimento, di empatia, dove proiettare sullo schermo delle vicende altrui i propri sogni, ricordi, desideri. Lo spettacolo della vita, così vario ed emozionante» (Nicola Bonazzi).
«Difficile per Nicola, figurarsi per me. Mi sono chiesto: è possibile che qualcuno riesca a raccontarci attraverso il racconto di se stesso? Che qualcuno riesca a mostrarci meglio chi siamo mostrando chi è lui stesso? Ritrovarsi dentro il racconto della vita di un altro? Mi sono risposto: il cinema, il teatro, la letteratura, l’arte lo fanno da sempre. Prendi Fellini, si, proprio Fellini: lui l’ha fatto in tutti i suoi film.
Ci ha mostrato noi stessi attraverso se stesso: raccontandosi davvero e raccontandosi “per finta”. Dicendoci chi era e chi si era immaginato di essere. Poi Nicola Bonazzi, dopo l’ennesimo racconto che gli ho fatto della storia della mia famiglia, mi ha consegnato il testo di Da grande voglio fare l’aggettivo e ci ho trovato me stesso, i miei familiari, la mia vita di attore che disegna o di disegnatore che recita, quello che sono e che avrei voluto essere, attraverso le sue parole. Mi ha fatto fare un triplo salto carpiato: non solo ritrovare me stesso nel racconto della vita di un altro, ma ritrovare gli altri attraverso la mia vita e quella della mia famiglia raccontata da un altro. Si, lo so, è complicato ma non fa una grinza: Bonazzi ha scritto un testo teatrale prendendo spunto dai racconti che gli ho fatto della vita mia e della mia famiglia e poi mi ha diretto come regista insegnandomi a raccontarla come lo avrebbe fatto un attore vero (chissà se ora lo sono diventato), cioè distaccandosene come fosse la vita di tutti, in modo che raccontandola al pubblico, tutti ci avrebbero ritrovato loro stessi. Mi ha raccontato i miei racconti e poi me li ha fatti raccontare attraverso la voce di un attore (che sono io) in modo da raccontarvi chi siete: ha fatto di noi due i Fellini di chi ci ascolta e ci guarda in Teatro. La mia vita scritta da Nicola Bonazzi e recitata da un attore (io), per mostrarvi la vostra. Si può ringraziare qualcuno nelle “note di regia”? Boh. Come? Ah, si. Oramai l’ho fatto: Grazie Nicola!» (Andrea Santonastaso).