Antonio Floridia a Scienze Politiche
Catania – Antonio Floridia, direttore dell’Osservatorio Elettorale della Regione Toscana, è stato ospite del Dipartimento di Scienze politiche e sociali venerdì 12 aprile alle 11, nell’aula A2 del Polo didattico “Gravina”, per parlare del suo ultimo libro “Il partito sbagliato“ (Castelvecchi, 2018) dedicato al PD e al delicato rapporto tra democrazia e organizzazione nei partiti politici; hanno discusso con l’autore Pippo Vecchio, direttore del Dsps, Orazio Lanza, docente di Scienza politica, Pinella Di Gregorio, docente di Storia contemporanea e Rossana Sampugnaro, docente di Sociologia politica.
Note sull’autore
Dopo aver lavorato a lungo presso un istituto di ricerche economiche e sociali, Antonio Floridia dal 2005 dirige l’Osservatorio elettorale e il settore “Politiche per la partecipazione” della Regione Toscana. Ha insegnato presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Firenze ed è stato presidente della Società Italiana Studi Elettorali (2014-2017). Tra le sue pubblicazioni ricordiamo: La democrazia deliberativa: teorie, processi e sistemi (2012), Un’idea deliberativa della democrazia. Genealogia e principi (2017), From Participation to Deliberation. A Critical Genealogy of Deliberative Democracy (2017) e il capitolo The Origins of the Deliberative Turn, all’interno dell’Oxford Handbook of Deliberative Democracy (2018).
Il volume
Un libro “eccellente” secondo il politologo Gianfranco Pasquino per la capacità dell’autore di spiegare cosa sia quello che viene definito come “un amalgama mal riuscito” e quali siano le cause della crisi profonda del partito democratico, a dieci anni dalla sua fondazione e dopo la pesante sconfitta elettorale del 4 marzo 2018. Sarebbe sbagliato, secondo Rossana Sampugnaro, considerarlo solo un libro sul PD: “l’autore propone una riflessione sull’importanza della forma partito nel mondo occidentale, stabilendo un nesso tra modalità organizzative, efficienza e democrazia”. Antonio Floridia propone un’analisi che parte dallo “impianto genetico” dei partiti, soffermandosi sui tratti che ne contraddistinguono, fin dall’inizio, il profilo valoriale e il modello organizzativo. Del PD lamenta la mancanza di una “chiara ispirazione politico-culturale” e l’approdo verso una forma di “partito leggere” che ha “completamente confuso i confini fra iscritti e elettori” con l’adozione di “primarie aperte”. Sullo sfondo, emerge l’interrogativo centrale del libro: è possibile una democrazia senza partiti degni di questo nome? Ed è possibile un’altra idea di partito?